Valore indiziario dello studio di settore, infondata la pretesa senza ulteriori elementi


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Valore indiziario dello studio di settore, infondata la pretesa senza ulteriori elementi
Autore: Enrico Polella - aggiornato il 06/10/2005
N° doc. 624
  
06 10 2005 - Edizione delle 16:30  
 
Ctp di Macerata, sentenza n. 90/2005

Valore indiziario dello studio di settore,
infondata la pretesa senza ulteriori elementi

Ma per la Cassazione è il contribuente che deve "attivarsi e mostrare o l'impossibilità di utilizzare le presunzioni in quella fattispecie o l'inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni"
 
Il caso
La III sezione della Commissione tributaria provinciale di Macerata, con la sentenza n. 90 del 22 marzo 2005, ha accolto il ricorso di un contribuente verso un avviso di accertamento emesso dall'ufficio delle Entrate di Macerata.
Con tale accertamento venivano rideterminati in capo al contribuente, sulla base dell'applicazione dello studio di settore relativo all'attività di lavorazione di "Tomaie per calzature" (studio di settore SD08U(1)), maggiori ricavi per 11.564.000 lire, con una maggiore imposta Iva pari a 2.313.000 lire, calcolata applicando l'aliquota del 20 per cento ai maggiori ricavi.
Tra i vari motivi del ricorso rileva ricordare i seguenti:
  • carenza di motivazione dell'atto impugnato. Nel ricorso si lamentava, in particolare, che l'atto di accertamento non recava nessuna indicazione di natura contabile idonea a giustificare la pretesa dell'ufficio, costituendo tale carenza un palese vizio dell'atto stesso anche ai sensi di quanto previsto dalla legge n. 212 del 27/07/2000 che, all'articolo 7, recante "Chiarezza e motivazione degli atti", espressamente dispone che "gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati ... indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione". La censura all'ufficio avrebbe dovuto assumere ancora maggior fondamento tenuto conto che il contribuente non era stato invitato al contraddittorio.
  • non aderenza dello studio applicato alle peculiarità del settore di riferimento. In particolare, le elaborazioni statistiche su cui si basa lo studio non sembrerebbero idonee a rappresentare la realtà dei produttori del settore manifatturiero in argomento e la effettiva condizione del contribuente accertato.

L'ufficio, dal canto suo, provvedeva a costituirsi ritualmente e a presentare le proprie eccezioni alle argomentazioni del contribuente.
In sintesi, si andava ad affermare che il mancato invito al contribuente a comparire per rappresentare in contraddittorio le proprie valutazioni non poteva essere causa di nullità dell'accertamento e che lo studio di settore, formando presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza possiede, di per sé, il valore di piena prova.

La decisione della Commissione tributaria provinciale
La Commissione, nella citata sentenza, ha condiviso la valutazione offerta dall'ufficio, in base alla quale "il mancato contraddittorio con il contribuente non determina alcuna nullità alla luce del costante orientamento della giurisprudenza (Cass. 7 maggio 2003, n. 6910), dato che tale omissione lascia integro il diritto di difesa del contribuente in sede contenziosa" e ha affermato che nessuna rilevanza si possa riconoscere alla circostanza che il "contribuente abbia effettuato istanza di accertamento con adesione, dato che al momento della presentazione del ricorso erano ancora pendenti i termini di sospensione di cui all'art. 6 del D.Lgs. 218/97, nonché quelli previsti alla legge sul condono. L'ufficio quindi non ha avuto il tempo necessario per formulare l'invito a comparire, dovendo interpretarsi questo ricorso come rinuncia all'accertamento con adesione i cui termini non erano scaduti anche in virtù della sospensione a seguito della legge sul condono".

La Commissione ha, però, riconosciuto il ricorso come fondato nel merito, affermando quanto segue: "
che lo studio di settore non sia una specie di dogma giuridico è oramai pacifico nella giurisprudenza, stante il fatto che costituisce obbligo dell'ufficio, pur in presenza di uno studio di settore, di tener conto dell'effettiva situazione personale del contribuente nonché della realtà in cui questi opera" e ha proseguito pronunciandosi nel senso "che lo studio di settore dà luogo a presunzioni gravi precise e concordanti solo se sussistono negli atti utilizzati dall'Ufficio oppure nei documenti di causa, altri elementi sia pure indiziari che confermino le risultanze dello studio di settore, e cioè attestino la normalità dell'attività della ditta in ordinarie condizioni nella realtà economica del proprio settore".
Infine, ha sentenziato che "in mancanza di tale prova sia pure indiziaria non è sufficiente invocare lo studio di settore, sicché non è possibile condividere la tesi dell'ufficio, secondo cui le risultanze dello studio di settore rappresentano una fonte di prova atta a modificare l'onere della prova che incombe in tal caso sul contribuente"...."e che gli studi di Settore ... per essere fonte di prova occorre pur sempre che l'Ufficio fornisca una dimostrazione secondo cui quella ditta vive una realtà economica normale e non si trova in una situazione svantaggiata o personale del contribuente oppure della zona in cui il contribuente si trovi ad operare...", pertanto, "...l'atto impugnato contiene una motivazione non sufficiente ai fini della sicura attribuibilità al contribuente di quel maggiore reddito risultante dallo studio di settore
".

Spunti di riflessione
Gli studi di settore hanno rappresentano l'ultimo passo compiuto dal nostro ordinamento nel processo di determinazione presuntiva di ricavi e compensi(2) da attribuire in capo a imprese e professionisti. A far data dal periodo di imposta 1998, l'articolo 62-bis del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha inserito tale strumento di accertamento quale sostituto dell'altro "indicatore di capacità contributiva" rappresentato dai parametri al fine "di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all'articolo 11 del decreto-legge 2 marzo 1989, n.69"...e..."di rendere più efficace l'azione accertatrice".
Ai sensi dell'articolo 62-sexies, comma 3, del citato decreto legge n. 331 del 1993, è stato previsto che "gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'articolo 62-bis del presente decreto".

Il testo della norma citata dà spazio a due divergenti ipotesi interpretative:

  1. gli accertamenti volti a determinare la "desumibilità" dell'"esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate...anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti" sono applicabili oltre che nella ipotesi in cui "l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'art.32" anche sulla base dell'applicazione degli studi di settore. Tale interpretazione sembrerebbe inequivocabile e immediata, ponendo l'attenzione sulla scelta della congiunzione "ovvero" che sembrerebbe non poter significare altro che gli accertamenti di cui agli articoli 39, Dpr 600/73, e 54, Dpr 633/72, si possano fondare sulla base degli studi di settore, questo, sia che la si voglia leggere in senso disgiuntivo (come se fosse: "o in presenza di presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza, o sulla base degli studi di settore") che, a maggior ragione, in senso esplicativo (come se fosse: "in presenza di presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza, cioè sulla base degli studi di settore"). In ogni caso, sembra comunque possibile affermare che l'accertamento in base agli studi di settore si fonda su una presunzione alla quale non occorrono altre prove per giustificare se stessa, vale a dire che l'accertamento basato sugli studi di settore gode intrinsecamente dei requisiti della gravità, precisione e concordanza necessari per fondare un accertamento analitico presuntivo. Come di seguito brevemente illustrato, tale convinzione si incarnerebbe, oltre che nella prassi della Agenzia delle Entrate, anche, e soprattutto, nella giurisprudenza della Corte di cassazione. In tal senso, si ricorda la sentenza n. 2891 del 27 febbraio 2002 della sezione tributaria della Cassazione, nella quale si affermava che l'evoluzione legislativa avutasi dal 1985 andrebbe proprio nel senso di riconoscere piena legittimità alla utilizzazione di ragionamenti presuntivi, nell'ambito degli accertamenti analitico-presuntivi di cui all'articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/73, anche in assenza di ulteriori motivazioni. Ciò confermerebbe "sempre di più la possibilità che l'Amministrazione utilizzi strumenti presuntivi legittimati dalla prassi e valutati già in sede preventiva a livello generale". In quella sede, la Corte ha ribadito come gravi sul contribuente l'onere di "attivarsi e di mostrare o l'impossibilità di utilizzare le presunzioni in quella fattispecie o l'inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni", sollevando così l'organo accertatore dal compito di suffragare i risultati dello studio di settore con ulteriori motivazioni desunte da elementi altri rispetto allo studio stesso. In conformità a tale orientamento, si inserisce la circolare n. 58/E del 27 giugno 2002 dell'Agenzia dell'Entrate, nella quale si esplicita come sia il complesso procedimento di approvazione di uno studio di settore a costituire il fondamento e la motivazione stessa dell'accertamento. Tale iter di elaborazione degli studi settore, come è noto, è caratterizzato dalla partecipazione delle associazioni professionali e di categoria e da una complessa fase attraverso la quale vengono identificati "campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l'attività esercitata ... e il contesto economico in cui la medesima si svolge"; in questo modo, si è cercato, evidentemente, di conferire a questo strumento il maggior grado di affidabilità e certezza andando a individuare, per quanto possibile, "le condizioni effettive di operatività delle imprese e di determinare i ricavi e i compensi che con ragionevole probabilità possono essere attribuiti ai contribuenti, attraverso la rilevazione delle caratteristiche 'strutturali' di ogni specifica attività economica"(3). La circolare n. 110 del 21/05/1999 afferma esplicitamente che la "partecipazione" dei contribuenti alla realizzazione degli studi settore consente il raggiungimento di "indubbi criteri di trasparenza per la valutazione della posizione fiscale del contribuente, ancorandoli a parametri oggettivi e coerenti con la realtà economica del territorio. Con la metodologia utilizzata per la costruzione degli studi si elimina ogni elemento di incertezza statistica, in quanto gli studi di settore sono stati realizzati sulla base dei dati forniti da tutti i contribuenti e non sulla base di indagini a campione".
  2. gli studi di settore hanno valore di presunzione semplice e non di presunzione legale relativa. Tale convincimento, sposato dalla Commissione tributaria provinciale di Macerata, si base su una differente lettura del testo del citato articolo 62-sexies. Gli accertamenti di cui agli articoli 39, Dpr 600/73, e 54, Dpr 633/72, si possono fondare "anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili" o "dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi". In questa chiave, gli studi di settore sarebbero un mezzo statistico da cui desumere una incongruenza rispetto ai ricavi dichiarati; tale strumento avrebbe, però, efficacia solo in concorso con altri elementi idonei a provare che tale incongruenza sia anche grave. E' stato recentemente affermato in dottrina che "se la disposizione degli studi di settore avesse voluto attribuire il valore di presunzione legale relativa agli accertamenti basati sugli studi, sarebbe bastato affermare che gli accertamenti possono essere fondati 'sugli' e non 'dagli' studi". In buona sostanza, secondo tale seconda ipotesi ricostruttiva, ciò che richiede la norma sarebbe una contestuale presenza delle gravi incongruenze e dello scostamento tra dichiarato e risultati di Gerico come a dire che "l'accertamento da studi di settore risulta legittimo solo quando si basa sulle gravi incongruenze e il contemporaneo disallineamento dei ricavi rispetto a Gerico"e che onere del Fisco sarebbe quello di andare oltre le risultanze dello studio applicato, dimostrando l'esistenza di gravi incongruenze.


NOTE:
1) Lo studio di settore SD08U, evoluto in TD08U, è stato approvato con decreto ministeriale del 30 marzo 1999.
L'evoluzione dello studio in argomento ha adottato alcuni interventi che, tenendo conto anche "delle criticità..." evidenziate durante i lavori di elaborazione degli studi di settore interessati dalla crisi dell'area del "Tac" (Tessile-Abbigliamento-Calzaturiero), dalle Associazioni di categoria "....e per rispondere in modo sempre più adeguato alle modifiche strutturali ed alla crisi economica che la filiera del tessile, dell'abbigliamento e delle calzature sta attraversando", "hanno reso flessibili gli studi di settore in evoluzione che coinvolgono l'intero settore economico tessile, abbigliamento e calzature" (così la circolare n. 32 del 21/06/2005 dell'Agenzia delle Entrate).

2) Si fa riferimento ai cosiddetti "coefficienti presuntivi" disciplinati dall'articolo 11 del decreto legge n. 69 del 2 marzo 1989 (successivamente soppresso dall'articolo 3 della legge n. 549 del 28/12/1995) e ai "parametri presuntivi di ricavi, compensi e volume d'affari" introdotti dai commi dal 181 al 189 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 28 dicembre 1995.

3) Circolare ministeriale n. 110 del 21/05/1999 "Studi di settore. Modalità di applicazione".

 
Enrico Polella

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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