Vuole ricorrere? Prego, favorisca i documenti.


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Vuole ricorrere? Prego, favorisca i documenti.
Autore: Domenico Riccio - aggiornato il 20/11/2007
N° doc. 4804
20 11 2007 - Edizione delle 17:30  
 
Sentenza n. 23019 del 31 ottobre 2007

Vuole ricorrere? Prego, favorisca i documenti

Necessaria la loro specifica indicazione, pena l’inammissibilità dell’impugnazione
 
Nel nuovo giudizio in sede di legittimità, la mancata indicazione specifica degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso comporta la inammissibilità dell’impugnazione, senza che a tale carenza possa sopperirsi con il richiamo alla menzione, diretta o indiretta, di essi nella narrativa che precede la formulazione dei motivi di ricorso.
Lo ha chiarito la Suprema corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 23019 del 31 ottobre 2007.

Il giudice di legittimità ha illustrato la nuova formulazione dell’articolo 366 del Codice di procedura civile, in base al quale il ricorso per cassazione deve contenere:
  • a pena di inammissibilità, la “specifica” indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali esso si fonda
  • a pena di improcedibilità, il deposito, insieme con il ricorso, degli atti e dei documenti anzidetti (così come previsto dal testo novellato dell’articolo 369, n. 4, Cpc).

Nel pensiero della Corte, la nuova disciplina, improntata a maggior rigore, risponderebbe al fine di garantire la precisa individuazione dell’ambito della controversia devoluta al giudizio di legittimità, con la imposizione, a pena di inammissibilità, sia della formulazione dei quesiti di diritto, nei casi previsti dall’articolo 360, numeri 1, 2, 3 e 4, Cpc, sia della chiara indicazione dei fatti controversi, nel caso previsto dal n. 5 dello stesso articolo 360 (articolo 366-bis, Cpc), sia, infine, della specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda (articolo 369, n. 4, Cpc).

Tale ultima innovazione avrebbe lo scopo di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente.

Viene così superato il precedente orientamento giurisprudenziale, formatosi nella vigenza del vecchio testo del processo di cassazione, secondo cui bastava, a garantire l’autosufficienza del ricorso per cassazione, che dal testo del ricorso si evincessero con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, il cui mancato deposito non comportava la sanzione dell’improcedibilità nei casi in cui si fosse ritenuto non necessario – ai fini del decidere – l’esame degli atti e documenti ivi contenuti e di quelli ulteriori, depositati nei limiti consentiti dall’articolo 372 Cpc.

Per la Suprema corte, il senso della riforma si completa con la disposizione introdotta dall’articolo 384, comma 3, Cpc, la quale prescrive che, se la Corte ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, deve riservare la decisione e assegnare alle parti e al pubblico ministero un termine per il deposito di osservazioni sulla questione.
Sicché – per garantire il pieno contraddittorio tra le parti ed escludere conseguentemente ogni discrezionalità del giudice di legittimità nella formazione del percorso logico a fondamento della decisione – è, appunto, necessario che il processo si svolga nello stretto ambito dei quesiti formulati dal ricorrente e sulla base degli atti e documenti specificamente indicati e depositati.

Per i giudici, in conclusione, la mancata indicazione specifica degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso comporta la inammissibilità dell’impugnazione, senza che possa sopperirsi a tale carenza con la menzione diretta o indiretta di essi nella premessa che precede la formulazione dei motivi di ricorso, onde evitare una interpretazione “sostanzialmente abrogante” della normativa introdotta dalla novella, a tutela del contraddittorio nel processo per cassazione.

 
Domenico Riccio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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